Disaster recovery as a service (DRaaS)
L’uso diffuso di virtualizzazione e la disponibilità di piattaforme cloud per carichi il recupero di lavoro ha portato ad una proliferazione di offerte DRaaS (Disaster Recovery as a Service).
La replica di una VM è integrata nel servizio, in modo che il cliente ha poco da fare che una due diligence e una firma sulla linea tratteggiata del contratto di fornitura.
Alcuni servizi sono offerti da cloud/hosting provider come NTT Communications che ha un’offerta europea in collaborazione con il fornitore DRaaS statunitense Geminare. Poi ci sono i “botti” degli specialisti di disaster recovery che con porfolio offerte DRaaS tipo SunGard e IBM.
I fornitori DRaaS danno un valore unico portando il service ad un nuovo livello di funzionalità. Nel Regno Unito ad esempio, Plan B Disaster Recovery dichiara che la sua offerta di Microsoft Windows Server DRaaS è in grado di garantire il recupero includendo un “test notturno” della recuperabilità delle immagini che ci vuole di ambienti server dei propri clienti. Quindi non solo recuperabilità ma anche valutazioni e stime di rischio che a priori il cliente non può immaginare. Plan B opera a livello di applicazione con “hypervisor-neutrale”, supporto VMware, Hyper-V e Xen. Il servizio di Plan B può ottenere immagini sia server fisici che virtuali.
La Quorum offre un servizio chiamato OnQ che è stato originariamente sviluppato per la Marina degli Stati Uniti che permette il rapido movimento di trasformazione di un sistema da una parte all’altra di una nave in caso di danni da battaglia, quindi è molto veloce e molto resistente; basato su Linux fisico o virtuale e server Windows. Inoltre OnQ è anche “hypervisor-agnostic”. Nel Regno Unito si utilizza un partner datacenter locale per recuperare le immagini del server del cliente come macchine virtuali, che permette un RTO con riavvio veloce del server.
È interessante notare che, Plan B dice che, ogni volta che il servizio è stato invocato per ripristinare un server fisico in un ambiente virtuale, il cliente non può tornare indietro. Ossia, i servizi di disaster recovery possono essere utilizzati per migrare verso ambienti virtuali, ma può anche riconoscere situazioni motivate per il quale effettuare una migrazione autonomamente.
Questo vuol dire che se il cloud è abbastanza buono in termini di connettività, si può pensare ad un backup secondario anche per le applicazioni più critiche; chissà che npn possa poi diventare anche la stessa piattaforma primaria a lungo termine
Articolo relato : Anche io apostata del backup : DR virtualisation
SR